La Missione 4 mira a rafforzare le condizioni per lo sviluppo di una economia ad alta intensità di conoscenza, di competitività e di resilienza, partendo dal riconoscimento delle criticità del nostro sistema di istruzione, formazione e ricerca:
• Carenze strutturali nell’offerta di servizi di educazione e istruzione primarie. Nei cicli di istruzione inferiore il divario rispetto agli standard europei è evidente. Ad esempio, il rapporto tra posti disponibili negli asili nido e il numero di bambini di età compresa tra 0 e 2 anni si colloca nel nostro Paese in media al 25,5 per cento - con rilevanti difformità territoriali - ovvero 7,5 punti percentuali al di sotto dell’obiettivo europeo del 33 per cento e 9,6 punti percentuali al di sotto della media europea. La carenza di servizi educativi per l’infanzia, unita all’iniqua ripartizione dei carichi di lavoro familiare, condiziona negativamente l’offerta di lavoro femminile e riduce il tasso di partecipazione delle donne al mercato del lavoro. A loro volta, tali fattori deprimono la domanda apparente di servizi educativi per l’infanzia, generando un equilibrio socialmente inefficiente, dove alla bassa offerta di servizi educativi per l’infanzia corrisponde una ridotta domanda apparente, soprattutto al Sud. Per uscire da questa situazione è quindi necessario agire sia dal lato dell’offerta di infrastrutture e servizi sia dal lato della domanda. Le misure del PNRR agiscono sul primo versante, mentre le politiche nazionali, ed in particolare il prossimo avvio dell’assegno universale per i figli, ambiscono a rendere possibile la fruizione dei servizi nuovi servizi in tutte le aree del Paese. D’altronde le modalità di erogazione dei servizi di istruzione primaria non riescono a soddisfare la domanda delle famiglie. Ad esempio, il 46,1 per cento delle famiglie italiane chiede di poter fruire del servizio di tempo pieno nelle scuole primarie, con le percentuali più alte in Piemonte, Emilia-Romagna e Lazio. In questo caso, la carenza dei servizi offerta è dovuta in parte rilevante alla ridotta dotazione infrastrutturale e alla mancanza degli spazi necessari per il tempo pieno
• Gap nelle competenze di base, alto tasso di abbandono scolastico e divari territoriali. Secondo una recente indagine del Ministero dell’Istruzione (MIUR DGCASIS), il tasso di abbandono scolastico raggiunge il 3,8 per cento nelle scuole secondarie di primo grado, dove è fortemente correlato a diseguaglianze reddituali e ad un maggior tasso di povertà e di deprivazione materiale, ed aumenta considerevolmente nei cicli di istruzione successiva. La percentuale di giovani compresi tra 18 e 24 anni che hanno un livello di istruzione non superiore a quello secondario di primo grado è, in Italia, del 14,5 per cento, mentre la media europea (corrispondente all’obiettivo stabilito nell’ ET2020) è pari al 10 per cento. Gli studenti italiani di 15 anni si collocano al di sotto della media OCSE in lettura, matematica e scienze, con ampie differenze territoriali che documentano risultati migliori della media OCSE al Nord ma molto inferiori al Sud. I due problemi - l’abbandono scolastico e i divari di competenze - sono tra loro fortemente connessi, perché la mancata acquisizione di competenze di base (basic skills) è una delle principali cause dell’abbandono scolastico. Inoltre, appare particolarmente carente la preparazione degli studenti del ciclo secondario nelle abilità di comunicare e dibattere, di comprensione della logica che sottostà alle tecnologie informatiche, nella capacità di risolvere i problemi - carenze cui si può far fronte recuperando ad esempio i metodi di Emma Castelnuovo per l’insegnamento della matematica nelle scuole – e nell’introduzione a materie che non sono parte del curriculum tradizionale
• Bassa percentuale di adulti con un titolo di studio terziario. Ulteriori e conseguenti carenze si evidenziano nelle statistiche relative all’istruzione terziaria. La percentuale di popolazione di età compresa tra i 25 e i 34 anni in possesso di un titolo di studio di livello terziario è pari al 28 per cento rispetto al 44 per cento di media nei paesi dell’OCSE. Questo divario è dovuto anche - sebbene non esclusivamente - alla carenza di offerta di formazione professionale avanzata e di servizi di orientamento e di transizione dalla scuola secondaria all’Università. A tale divario contribuiscono, inoltre, il sottodimensionamento dei servizi residenziali per gli studenti universitari - la percentuale di studenti universitari che utilizzano servizi residenziali pubblici è del 3 per cento contro la media europea del 18 per cento - e all’esistenza di ostacoli di tipo economico - gli studenti universitari che fruiscono di una borsa di studio sono pari al 12 per cento contro una media europea del 25 per cento mentre quelli che sono esentati dal pagamento delle tasse universitarie sono il 13 per cento contro una media europea del 30 per cento. Il numero di dottorati conferiti in Italia è tra i più bassi tra i paesi UE, ed è in costante calo negli ultimi anni (-40 per cento tra il 2008 e il 2019): secondo Eurostat, ogni anno in Italia solo una persona su 1000 nella fascia di età 25-34 completa un programma di dottorato, contro una media UE di 1,5 (2,1 in Germania). In aggiunta, quasi il 20 per cento di coloro che hanno conseguito un dottorato in Italia ogni anno si trasferisce all’estero
• Skills mismatch tra istruzione e domanda di lavoro. A fronte di questo esodo di capitale umano qualificato, circa il 33 per cento delle imprese italiane lamentano difficoltà di reclutamento, mentre sono il 31 per cento i giovani fino a 24 anni che non hanno un’occupazione ma la cercano. Allo stesso tempo, solo l’1,7 per cento degli studenti terziari si iscrive a corsi di istruzione professionalizzante, che pure hanno prodotto in anni recenti esiti occupazionali significativi (più di 80 per cento di occupati a un anno dal diploma)
• Basso livello di spesa in R&S. L’Italia rimane ancora distante dalle performance di altri Paesi, facendo registrare una intensità delle spese in R&S rispetto al Pil (nel 2018 pari all’1,4 per cento) decisamente più bassa della media OCSE (2,4 per cento), tanto nel settore pubblico quanto nel privato (0,9 per cento contro una media OCSE dell’1,7 per cento). In questa prospettiva, la ripresa e il sostegno agli investimenti pubblici e privati in R&S rappresenta una condizione essenziale per recuperare il divario nei livelli di produttività dei fattori produttivi (capitale e lavoro)
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